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Dal Corriere della Sera

22 febbraio 2010
giornaleSAN DIEGO (California) – L’ora di musica a scuola? Importante come quella di italiano, di storia o di geografia. O forse di più, dicono i neuroscienziati. Perché ascoltare Beethoven, imparare a suonare uno strumento o a cantare una canzone hanno un’influenza importante sullo sviluppo sensitivo e cognitivo dei bambini e dei ragazzi. E potrebbe anche costituire un buon sistema per curare persone con disturbi del linguaggio come i dislessici o addirittura gli autistici. Musica e percezione del linguaggio, infatti, hanno a che fare sia con il con il sistema nervoso sensitivo che con i più alti centri cognitivi del cervello.

CLASSI RUMOROSE – «L’esperienza musicale – ha detto Nina Kraus, triestina d’origine, ora professore e ricercatrice alla Northwestern University di Evanston, Illinois, in occasione del meeting annuale dell’Aaas, l’associazione americana per il progresso delle scienze in corso a San Diego, – può aiutare a ascoltare meglio chi parla anche in un ambiente rumoroso perché permette di “isolare” i suoni: abbiamo valutato questa capacità studiando il cervello dei musicisti. Pensiamo a chi suona, per esempio, in un’orchestra: ciascun musicista riesce a cogliere segnali chiave che gli consentono poi di “entrare” al momento giusto». Le ricerche di Nina Kraus hanno dimostrato che il sistema nervoso risponde allo stimolo acustico del linguaggio (cioè a chi sta parlando) e allo stimolo musicale (una canzone per esempio) immediatamente, nel giro di millisecondi. I musicisti lo fanno più velocemente degli altri.

LA DISLESSIA – «Non solo –aggiunge la ricercatrice, – abbiamo anche dimostrato che l’esperienza musicale permette di ascoltare con più attenzione gli altri interpretando con maggiore facilità le sfumature del linguaggio legate a cambiamenti (anche minimi) dell’intonazione della voce dell’interlocutore». Ecco perché bambini educati alla musica possono mantenere più facilmente la concentrazione e ascoltare meglio la voce dell’insegnante in una classe rumorosa. Ecco perché persone con problemi di linguaggio, come appunto i dislessici o addirittura gli autistici, potrebbero essere aiutati della musica. «Adesso sappiamo che la musica – ha concluso Nina Kraus può modellare i circuiti sensori subcorticali in maniera tale che da migliorare attività quotidiane come la lettura o l’ascolto degli altri».

Adriana Bazzi
abazzi@corriere.it